Dario Franceschini, vicesegretario del Pd, ha appena spiegato (Radio3, 18.12. mattina) che il suo partito è diviso in tre parti (sono soltanto mie le etichette che uso), i reduci da Ds e Margherita ed debuttanti alla vita politica che mai avevano militato sinora in nessuna formazione. A questi ultimi va data voce, ha aggiunto.
Franceschini ha ragione. Sinora, sia a livello nazionale sia in ambito locale, il Pd è apparso soltanto come un consiglio di amministrazione delle quote ereditate dai due partiti. L'uno erede di una tradizione comunista che aveva imboccato la via riformista, senza però voler mai apparire socialdemocratico (considerando forse la qualifica un residuo del passato quando era ritenuta un'infamia da parte dei "compagni" di rito moscovita). L'altro prettamente cattolico per non dire democristiano, in un momento in cui l'etichetta democristiana è stata al centro di discussioni e tensioni legali ereditarie, e di una corsa ad impadronirsene in tutte le zone del Parlamento, da destra a sinistra, fatte salve le ali estreme (per fortuna).
Le buone intenzioni di Franceschini urtano però con dei dati di fatto, come la vicenda bolognese: il vice-sindaco Adriana Scaramuzzino molla tutto per tornare a lavorare in Magistratura.
Questa vicenda è simbolica della crisi del Pd. Che ha rinunciato a realizzare la partecipazione alla vita pubblica, di tutti quanti erano in sintonia con il suo programma, pur non provenendo dai due partiti fondatori.
Allargo il discorso. Non mi riferisco alla vita del Pd in senso stretto, ma proprio a quella delle città e del Paese. Per cui non sarebbe stato necessario per valorizzare certe figure, neppure la loro iscrizione al Pd. Veltroni ed i suoi colleghi della direzione, ed anche gli organi periferici avrebbero dovuto guardare a forze vergini dal servo encomio. Doveva essere la carta vincente per rinnovare l'Italia.
Gli scandali attuali non scandalizzano. Siamo alla spartizione dei consueti posti a tavola, dove seggono i soliti noti: i feudatari delle tessere di infausta memoria. Ma attorno a loro c'è una società umiliata, scartata perché non tesserata.
La qualifica di cittadino non deriva dall'adesione ad un partito. Mentre un partito può diventare grande se permette a tutti non di salire le antiche scale delle sue sedi e bussare alla porta, ma di collaborare verginalmente alla gestione pubblica.
Questo non è accaduto. Il Pd ha perso la sua scommessa. Auguri a Franceschini perché riesca nell'intento. Altrimenti l'Italia diventerà una monarchia costituzionale in mano alla gens berlusconiana.
Testo pubblicato il 19.12.2008 sul "Corriere Romagna".