Ci conceda l'amabile avvocato Chiesa il diritto di replica al suo consueto rimpianto del bel tempo che fu, riassunto sul "Corriere" di venerdì 19.12, con la formula assurda della "miseria felice". Se usciamo dallo sterile umore letterario che alimenta la sua prosa 'romagnola', e ci affacciamo timidamente alla storia non soltanto delle nostre terre, ma di ogni parte del mondo (sia nel passato sia del presente), dobbiamo prendere atto che non è mai esistita la "miseria felice" ricordata da Chiesa. Perché povertà significava (e significa ancor oggi in troppe nazioni) fame, malattia, breve durata media della vita per grandi fette della popolazione.
Già ci ha spiegato Giacomo Leopardi che ciò che chiamiamo "antico" è "poeticissimo" perché suscita idee "confuse". Ma la vita, esimio avvocato, è soprattutto "prosa", non soltanto "poesia". Dobbiamo avere non idee letterariamente "confuse" ma filosoficamente chiare. Perché è molto breve il passo dalla pagina scritta, di pura invenzione, alla dolorosa realtà d'ogni giorno.
Anzi, è molto dannoso nella vita della polis (per cui, politicamente) proprio ciò che non è espresso secondo la linea della fedeltà ai dati di fatto, ma aderendo ad un progetto che è evasione da essi nel vano rimpianto di ciò che si racconta inventando immagini non rispondenti alle cose esistenti. Sono operazioni che cercano di anestetizzare l'osservatore "contemporaneo", lo illudono con il pugno di mosche che si stava meglio quando si stava peggio, tentano di allontanare l'attenzione dalle questioni più urgenti con la filastrocca della nonna, od il raccontino del bisnonno.
Testo pubblicato sul "Corriere Romagna" del 20 dicembre 2008.